Catalani, maiorchini, valenzani, ebrei, pisani e genovesi a Cagliari nel 1319

Nel 1319 Cagliari era un porto con intensa attività commerciale e tappa importante per le navi provenienti e/o dirette ai luoghi rivieraschi del Mediterraneo settentrionale.
La parte della città detta “Castel di Castro” ospitava le case e i magazzini dei pisani che nei primi decenni del secolo XIII avevano dato forma alla loro zona tracciando quattro vie o “rughe” e battezzandole con nomi particolari. Si chiamavano dei Mercanti, dei Marinai, Comunale e dell’Elefante e oggi sono rimaste pressoché uguali nella struttura. Corrispondono alle vie Lamarmora, Canelles, dei Genovesi, Corte d’Appello; ed è sempre esistente la torre dell’Elefante.
Dai tempi della Meloria e dai primi decenni del secolo XIV però i commerci dei pisani si ridimensionarono e ancor più si contrassero con la dominazione su Cagliari dei catalani aragonesi (1323).
I mercanti di Spagna infatti si erano imposti a poco a poco sulle rotte marittime e già nel 1319 operavano numerosi accanto ai gruppi di Cecco Agliata di Pisa, dei genovesi e di altri della Penisola.
È almeno questo il quadro che appare in un documento di transazione e concordia tra i molti creditori di un certo Gaddo Bonaparte di Bonaparte “borghese” (del borgo di Cagliari), uniti tra loro per non specificati “negozi” da gestire su quanto loro spettante. Si intravede nello sfondo il fallimento di una qualche società del mare, forse a seguito di una o più spedizioni sfortunate, o dei prestiti non onorati o un altra sciagura simile.
La carta iniziava ricordando il gruppo spagnolo con Guglielmo Sabastida di Barcellona e Guglielmo Ammiraglio di Maiorca che trattavano a nome proprio, di Andrea “de Podio” di Maiorca e di Sansone “Allegarum” di Tortosa. Erano anche procuratori:
– dei tortosani Giovanni “de Linas” e Giovanni Guaschi,
– dei barcellonesi Raimondo di Pietro, Guglielmo Gassoni, Raimondo Gassoni, Pietro Salzetti, Bernardo di Barcellone, Pietro “de Caules” e Elmerico “de Ravech”,
– dei maiorchini Antonio “de Arbosseto” e Ferrero di Ricciardo,
– dei genovesi Manuele “de Camulio” e Doardo di Saulo,
– e dei valenzani (di Spagna) Raimondo di Rolando, Giuliano Moioli e Bernardo Sarrovere.
La procura che li accomunava era stata rogata da Gaddo notaio del fu Martino da Fagiano, pisano residente a Castel di Castro.
Seguiva a questo gruppo quello degli ebrei, o ‘iudei’ come si diceva allora. Ne facevano parte Musa Benamari nunzio e procuratore di Salomone Fonducci, Maimone Soffe, Avad figlio di Salomone, Benedetto Nahui e Marduchi Marmaimoni. Anche la loro procura era stata scritta da ser Gaddo da Fagiano.
Il terzo gruppo, dei pisani, invece comprendeva Cecco di Betto Agliata di Pisa, Nerio da San Casciano di Simone, Matteo di Ruggero del fu Giovanni Ruggeri e Lelmo di Ruggero suo figlio (sic), Balduccio speziario del fu Michele notaio del borgo di Castel Castro, Puccio Porcellino del fu Vanni Porcellini, Villano da Asciano del fu Simone, Benuto borghese del fu Ianni Talerci (napoletano).
Cecco Agliata, Matteo, Guglielmo Ammiraglio e Andrea da Podio furono gli incaricati ad agire “coram castellanis et iudice Castellicastri” (davanti ai castellani e al giudice di Castel di Castro) con Gaddo per quanto potevano e erano in grado di chiedere.
La carta non riporta altre notizie oltre a questi questi interessanti nomi di mercanti.
Fu scritta nella chiesa di Santa Maria del castello (oggi la cattedrale), testimoni Tommaso giudice del fu Ranieri, Pedone giudice del fu Lorenzo entrambi “borghesi” e Giovanni notaio figlio di Fornetto “Polle” (forse genovese).
Rogò Leonardo del fu maestro Ianni “romani fisici” (sic, da tradurre o come ‘medico romano’ o come ‘di Romano medico’).

Paola Ircani Menichini, 23 marzo 2023.
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